sabato 29 gennaio 2011

Balene e squali dei nostri mari

Settimana scorsa, alcuni quotidiani hanno riportato un servizio su due fortunati incontri con alcuni giganti dei nostri mari. Questi incontri sono in effetti eccezionali a modo loro: non capita certo tutti i giorni di nuotare con uno squalo elefante, né di osservare il pasto di una balenottera comune dalla superficie. In realtà, questi due animali sono presenti da sempre nei nostri mari, ma le loro abitudini sono poco conosciute, e capita di rado di poterli osservare, a meno che non li si cerchi attentamente.
Lo squalo elefante (Cetorhinus maximus) è un pesce cartilagineo, uno squalo insomma, ed è il classico gigante buono: nonostante la mole si nutre solo di plankton. È imparentato con lo squalo bianco, ma i denti del suo più noto parente sono quasi scomparsi in questa specie, non venendo utilizzati. Di questa specie si sa pochissimo: non si sa dove si riproduca, non si sa dove passi l’inverno. Di certo, c’è solo che appare all’improvviso in superficie quando il plankton è più concentrato, di solito in tarda primavera e inizio estate. Lo si può osservare a volte anche sottocosta, da solo o in piccoli gruppi. Dopo poche apparizioni, la pinna dorsale triangolare scompare nel blu, e lo squalo elefante torna nel suo mondo misterioso. Alcuni suggeriscono che in inverno non si nutra, forse spostandosi in profondità e rimanendo in uno stadio letargico. In ogni caso, pochi sanno che è una specie in pericolo (spesso rimane ammagliata nelle reti fisse, soffocando). In nord Europa (Cornovaglia, Galles, Scozia, Isola di Man, Norvegia) lo squalo elefante o cetorino è più comune, e vi sono centri specializzati nel portare i turisti a vedere da vicino gli squali, e alcuni addirittura con maschera, pinne e muta vi portano a vederlo nel suo ambiente. Per evitare rischi, sia per l’uomo che per lo squalo, lo Shark Trust (l’ente che si occupa di conservazione di squali e razze in Inghilterra) ha stilato e distribuito una codice di condotta da tenere quando si compiono escursioni di questo tipo.
In mediterraneo questo genere di esperienza sarebbe difficile, data la sporadicità degli avvistamenti, che sono saltuari e imprevedibili. Qualcuno, però, è stato fortunato, come si può vedere dalle foto del servizio.
Anche la balenottera comune (Balaenoptera physalus), che si vede nelle foto seguenti, è diffusa in mediterraneo. È un animale di stazza notevole, secondo per dimensioni solo alla balenottera azzurra, assente in mediterraneo. Il termine “balenottera”, infatti, non designa una “piccola balena” come molti credono, ma una “balena con la pinna” – riferito alla pinna dorsale, assente nelle balene non appartenenti alla famiglia Balaenopteridae.
Se avvistare le balenottere è relativamente facile, non è invece un evento frequente vederle nutrirsi in superficie, né tantomeno sottocosta. Infatti, la balenottera comune normalmente si alimenta in alto mare, e, seguendo gli sciami del krill Meganictyphanes norvegica di cui si nutre, anche a profondità considerevoli. Inoltre anche la stagionalità è anomala: si ritiene che la balenottera comune spenda l’inizio dell’estate fa la Liguria e la Corsica, spostandosi poi verso il golfo del Leone e la Catalogna, seguendo il krill di cui si nutre, mentre è opinione comune che in inverno sia presente in questa zona in concentrazioni nettamente minori, mentre la gran parte della popolazione si sposta verso sud, forse per scopi riproduttivi. Fra le aree suggerite come zone riproduttive vi è in particolare il Canale di Sicilia, e forse il bacino Algerino.
Della balenottera comune si sa che, nonostante alcuni scambi con la popolazione del Nord-Atlantico, la popolazione del Mediterraneo è relativamente isolata, e la specie compie l’intero ciclo vitale all’interno del bacino.

Questi due avvistamenti sono avvenuti nelle vicinanze dell’area protetta di Tavolara. I responsabili del parco dichiarano che, grazie alla aumentata protezione, vi è più disponibilità di cibo anche per questi grandi animali pelagici. In realtà, il parco fornisce una protezione a livello locale, salvaguardando le specie di pesci e altri animali costieri, legati alla vicinanza con la terraferma e la superficie, e può funzionare per attrarre predatori di medie dimensioni, che si avvicinano dal mare aperto in cerca di piccoli pesci. Difficilmente, però, la protezione di una piccola porzione di costa può influenzare l’ abbondanza di plankton, poiché questo dipende da fattori a scala regionale, e non locale. Resta il fatto che la zona prescelta per questa area protetta corrisponde con una zona ad alta biodiversità, nonché probabilmente corridoio di migrazione anche per i grandi pelagici come questi, e le foto degli avvistamenti di questi giorni sono un segnale fortemente positivo sull’ efficacia delle aree protette.

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