giovedì 28 aprile 2011

Gli squali volpe di Camogli


Due esemplari di squalo volpe (Alopias vulpinus) di 200 e 250 kg di peso sono stati pescati a distanza di pochi giorni nella Tonnarella di Camogli, all’interno dell’Area Marina Protetta (AMP) di Portofino (Genova).
  Lo squalo volpe è un predatore pelagico, che si avvicina alla costa seguendo i banchi di pesce pelagico di cui si alimenta. In particolare, secondo i biologi dell’AMP, in questo periodo dell’anno si avvicina alla costa seguendo i sugarelli (Trachurus spp.), i quali infatti entrano nella tonnara in grande quantità in questo periodo. Anche negli anni passati, le sporadiche catture di squalo volpe sono avvenute tutte nei mesi primaverili (aprile e maggio 2008, giugno 2009, aprile 2010).
Nonostante le dimensioni, lo squalo volpe non è pericoloso per l’uomo. Si nutre di piccoli pesci pelagici, che stordisce con la lunga coda, usata come una frusta contro i banchi di pesce. Come la maggior parte delle specie di squalo, è in rapido declino nei nostri mari. Uno studio di qualche anno fa (Ferretti et al., 2008) evidenziava un declino compreso fra il 96 e il 99% in biomassa per questa specie in Mediterraneo, rispetto ai livelli dell’inizio del 20° secolo. Dispiace quindi vedere questi splendidi animali intrappolati ed uccisi dalle reti della Tonnarella, tanto più perché questo avviene all’interno di un’area protetta.
C’è però un’importante considerazione da fare: la Tonnarella, con la sua storia e tradizione antica di centinaia di anni, ha svolto e svolge tutt’ora una importantissima funzione: quella di monitorare e testimoniare, con le sue catture, la straordinaria biodiversità del mediterraneo, dove non ti aspetteresti di trovare squali di 200 kg a pochi metri dalla riva. In questo contesto, le catture di pesci infrequenti, come lo squalo volpe, o addirittura rari, come la coppia di Marlin Bianco (Tetrapturus albidus) pescati nell’agosto del 2009, o il pesce Re (Lampris guttatus) assumono una connotazione differente da quella di semplice curiosità, divenendo una vera testimonianza della ricchezza che il nostro mare ha da offrirci.

Fonti e informazioni:



Articolo:
Ferretti, F., Myers, R.A., Serena, F. & Lotze, H.K. (2008). Loss of large predatory sharks from the Mediterranean Sea. Conserv. Biol., 22, 952–964.

lunedì 25 aprile 2011

Un po' di luce sui capodogli del Mediterraneo

L’11 dicembre del 2009 sette capodogli sono stati trovati spiaggiati lungo la costa del Gargano, in Puglia. L’avvenimento destò molto scalpore, forse per via della rarità questi spiaggiamenti di massa in Mediterraneo, o forse perché i capodogli, un gruppo di maschi adolescenti di età compresa fra i 15 e i 20 anni, erano ancora vivi quando sono stati trovati. il Paese intero è stato testimone inerme della lenta agonia di questi animali. 
  Ora, dopo più di un anno, uno studio ha permesso di identificare alcuni degli esemplari spiaggiati, restituendo un nome ed una storia a questi misteriosi cetacei. Lo studio di Alexandros Frantzis e colleghi, pubblicato su Deep Sea Research I, si è avvalso della tecnica della foto identificazione (di cui ho parlato nel post precedente). In particolare, sono stati comparati 3 database di foto di capodogli in Mediterraneo, appartenenti a gruppi di ricerca differenti e operanti in zone diverse (fra cui l’Istituto Tethys, che compie le sue ricerche in Mar Ligure). Questo ha permesso di identificare, fra i circa 300 individui compresi nei cataloghi, 3 dei 7 capodogli spiaggiati. Due di loro, chiamati Cla e Pomo, sono stati avvistati negli anni scorsi in mar Ligure, nella stagione estiva; il terzo, Zak Whitehead, era conosciuto in mar Ionio, dove era stato avvistato più volte insieme al gruppo di femmine in cui era nato.
  Lo studio, oltre a ridare un’identità ed un nome ai giovani capodogli, ha prodotto un risultato importantissimo e finora mai trovato: l’esistenza di flussi migratori fra i bacini Occidentale (mar Ligure) e Orientale (Ionio e basso Adriatico) del Mediterraneo. Oltre ai 3 individui spiaggiati, lo studio ha anche identificato un quarto individuo, Odysseas, il quale è stato fotografato prima in mar Ligure e poi, a distanza di 13 anni, nello Ionio.
  Perché è importante la scoperta di flussi fra i due bacini? Perché la popolazione di capodogli mediterranei è piccola, isolata (ci sono pochissimi scambi con l’Atlantico) ed in pericolo, come dimostrano gli spiaggiamenti e le collisioni con le navi, tutt’altro che rare. L’esistenza di due sottopopolazioni ancor più piccole potrebbe portare ad una mancanza di ricambio genetico, ed all’estinzione.
  Un dato interessante è che gli individui che si sono spostati fra i due bacini erano tutti maschi. È risaputo che, mentre le femmine e i giovani di capodoglio si radunano in gruppi stabili e duraturi, probabilmente stanziali, i maschi adolescenti si allontanano, formando piccoli gruppi e divenendo col tempo solitari. In Mediterraneo, ad esempio, sono noti alcuni gruppi di femmine e giovani capodogli residenti abitualmente nello Ionio e nelle isole Baleari. In mar Ligure, invece i maschi vanno a nutrirsi durante la stagione estiva, soli o in piccoli gruppi. L’ipotesi fatta in questo studio è che, mentre le femmine sono stanziali, siano i maschi a migrare da un bacino all’altro, garantendo lo scambio genetico fra popolazioni altrimenti isolate.
  Infine, lo studio fa notare con allarme che gli unici corridoi fra i due bacini sono due zone a forte rischio per i cetacei: lo Stretto di Messina e il Canale di Sicilia. Lo stretto di Messina un tempo era un corridoio di transito per i capodogli, ma da anni non ne vengono avvistati, complice probabilmente l’intenso traffico navale e i rischi legati alla pesca (per non parlare della caccia diretta, perpetrata dai pescatori verso la metà del XX secolo a colpi di dinamite). Questo corridoio è quindi ormai un passaggio chiuso. Resta il Canale di Sicilia, ma, visto l’aumento di perforazioni e attività legate all’industria di estrazione del petrolio, anche qui il disturbo è in aumento. I capodogli, infatti, sono estremamente sensibili ai rumori, in particolare alle esplosioni subacquee necessarie per le indagini su nuovi giacimenti petroliferi. La presenza e l’aumento di queste attività nel bel mezzo del canale di Sicilia potrebbe quindi costituire una barriera per i maschi che migrano, e causare così l’isolamento genetico delle due popolazioni.
  Tutte queste ipotesi, comunque, hanno bisogno di ulteriori conferme e di verifiche. Per questo è importante che gli studi di foto identificazione a lungo termine, che hanno dato finora risultati di grandissima importanza, vadano avanti.

Per ulteriori informazioni:


articolo:
Frantzis A., Airoldi S., Notarbartolo-di-Sciara G., Johnson C., Mazzariol S. (2011) Inter-basin movements of Mediterranean sperm whales provide insight into their population structure and conservation. Deep-Sea Research I 58 454-459.