Durante la conferenza annuale dell’ American Association for the Advancement of Science (AAAS) in Washington DC, Villy Christensen, uno degli studiosi del Fisheries Research Center della University of British Columbia (Canada) ha esposto i risultati di un recente studio condotto dal suo team. Analizzando più di 200 ecosistemi, in un arco compreso fra il 1880 e il 2007, si è osservato che i grandi predatori, come tonni, cernie, e merluzzi, sono diminuiti sensibilmente (di circa due terzi) nel corso dell’ultimo secolo a livello globale, mentre i piccoli pesci, come acciughe e sardine, sono aumentati.
Questo trend, di per se, non sorprende. Infatti, la diminuzione dei predatori rientra in un fenomeno ben noto, denominato “fishing down the marine food web”, cioè il progressivo spostamento della pesca dalle specie predatrici, più pregiate e quindi le prime a venire pescate fino alla quasi totale scomparsa, verso le specie meno pregiate di pesce, quindi agli invertebrati come gamberi e calamari, ed infine alle meduse.
Questo studio si poneva invece il problema di quantificare il trend globale nel corso del ventesimo secolo, durante l’avvento della pesca su scala industriale. Il risultato racconta che, durante il secolo scorso, l’impatto della pesca sulle specie predatrici ha permesso alle specie preda di aumentare a dismisura. In altre parole, dice Christensen, “quando il gatto non c’è, i topi ballano”.
Naturalmente, i pesci pelagici, come acciughe e sardine, possono essere pescati per l’alimentazione umana. Ma vengono per lo più utilizzati come mangime per gli allevamenti di specie più pregiate, in particolare salmone e tonno. Inoltre, un ecosistema dominato da piccole specie pelagiche è molto più esposto alla variabilità ambientale, e quindi più fragile. In tali condizioni, esiste il rischio che la comunità di pesci pelagici si involva in un sistema popolato solo da meduse e altri invertebrati, o da batteri. Situazioni simili si sono già verificate in passato, e l’aumento delle meduse in molti mari e oceani è in linea con queste previsioni.
Il convegno si poneva una domanda: ci sarà ancora pesce negli oceani nel 2050? La questione è stata affrontata alcuni anni fa da un famoso articolo pubblicato su Science da Boris Worm e colleghi (2006), in cui gli autori sostenevano che al ritmo attuale di catture non vi sarebbe più stato pesce disponibile per l’alimentazione umana nel 2048. Tale articolo fu molto discusso e anche criticato. Alla luce delle recenti scoperte, secondo Christensen, nel 2050 ci saranno certamente pesci nell’oceano. Ma saranno piccoli, e utilizzati per lo più come mangime per allevamenti. Sempre che non si intervenga immediatamente per limitare le catture a livello globale.