domenica 27 febbraio 2011

Come la pesca ha cambiato gli oceani nel ventesimo secolo

Durante la conferenza annuale dell’ American Association for the Advancement of Science (AAAS) in Washington DC, Villy Christensen, uno degli studiosi del Fisheries Research Center della University of British Columbia (Canada) ha esposto i risultati di un recente studio condotto dal suo team. Analizzando più di 200 ecosistemi, in un arco compreso fra il 1880 e il 2007, si è osservato che i grandi predatori, come tonni, cernie, e merluzzi, sono diminuiti sensibilmente (di circa due terzi) nel corso dell’ultimo secolo a livello globale, mentre i piccoli pesci, come acciughe e sardine, sono aumentati.
Questo trend, di per se, non sorprende. Infatti, la diminuzione dei predatori rientra in un fenomeno ben noto, denominato “fishing down the marine food web”, cioè il progressivo spostamento della pesca dalle specie predatrici, più pregiate e quindi le prime a venire pescate fino alla quasi totale scomparsa, verso le specie meno pregiate di pesce, quindi agli invertebrati come gamberi e calamari, ed infine alle meduse.
Questo studio si poneva invece il problema di quantificare il trend globale nel corso del ventesimo secolo, durante l’avvento della pesca su scala industriale. Il risultato racconta che, durante il secolo scorso, l’impatto della pesca sulle specie predatrici ha permesso alle specie preda di aumentare a dismisura. In altre parole, dice Christensen, “quando il gatto non c’è, i topi ballano”.
Naturalmente, i pesci pelagici, come acciughe e sardine, possono essere pescati per l’alimentazione umana. Ma vengono per lo più utilizzati come mangime per gli allevamenti di specie più pregiate, in particolare salmone e tonno. Inoltre, un ecosistema dominato da piccole specie pelagiche è molto più esposto alla variabilità ambientale, e quindi più fragile. In tali condizioni, esiste il rischio che la comunità di pesci pelagici si involva in un sistema popolato solo  da meduse e altri invertebrati, o da batteri. Situazioni simili si sono già verificate in passato, e l’aumento delle meduse in molti mari e oceani è in linea con queste previsioni.

Il convegno si poneva una domanda: ci sarà ancora pesce negli oceani nel 2050? La questione è stata affrontata alcuni anni fa da un famoso articolo pubblicato su Science da Boris Worm e colleghi (2006), in cui gli autori sostenevano che al ritmo attuale di catture non vi sarebbe più stato pesce disponibile per l’alimentazione umana nel 2048. Tale articolo fu molto discusso e anche criticato. Alla luce delle recenti scoperte, secondo Christensen, nel 2050 ci saranno certamente pesci nell’oceano. Ma saranno piccoli, e utilizzati per lo più come mangime per allevamenti. Sempre che non si intervenga immediatamente per limitare le catture a livello globale.

Fonti e informazioni:

http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2011/02/20/AR2011022003388.html

Referenze:

Worm et al., 2006 Impacts of Biodiversity Loss on Ocean Ecosystem Services. Science 314, 787-790

Slow Fish 2011


Ritorna a Genova l’appuntamento biennale con il Salone Slow Fish, la seione marittima di Slow Food. Dal 27 al 30 maggio 2011 si terrà la quarta edizione di questa manifestazione di grande successo.
Il tema di quest’anno è “una specie in più: i pescatori”. L’intenzione è quella di valorizzare l’importante ruolo svolto dalla pesca artigianale e dal pescatore come custode di culture e tradizioni importanti non solo per la nostra società, ma anche per l’ambiente stesso.
La manifestazione vedrà numerosi percorsi dallo spiccato carattere gastronomico (i Laboratori del Gusto, i Teatri del Gusto, le Cucine di Strada, l’Osteria del Gusto, e varie altre), inoltre sarà presente un mercato, dove si potranno trovare i prodotti con presidio Slow Fish, e una fornita enoteca.
Ma il salone non è dedicato esclusivamente ai piaceri del palato. Sono in programma numerosi percorsi guidati educativi per bambini ed adulti (che ne hanno certamente più bisogno), con ingresso gratuito per le scolaresche. In particolare verrà enfatizzato ed approfondito il ruolo attivo del consumatore, che può optare per una scelta di acquisto consapevole e mirata alla sostenibilità.
Vi saranno infine una serie di conferenze con specialisti e professionisti del settore, con molti temi affrontati fra cui il ruolo del pescatore, la costruzione del prezzo, il problema della pesca illegale, l’etichettatura e la vendita diretta.
I programmi definitivi saranno disponibili solo dal 29 marzo, ma per ora il sito è consultabile e vale la pena iniziare ad esplorarlo.

Per informazioni,
Sito di Slow Fish:

lunedì 21 febbraio 2011

biodiversità nostrana in pericolo

La straordinaria biodiversità del Canale di Sicilia è stata documentata dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in un video, prodotto a seguito della campagna esplorativa nei fondali delle isole Pelagie (Pantelleria, Lampedusa  e Linosa) della scorsa estate.

Secondo il responsabile del progetto, Simone Pietro Canese, l’esplorazione delle scarpate mediante robot teleguidati, o ROV (Remotely Operated Vehicle) ha permesso di individuare svariate specie, in particolare di gorgonie mai trovate prima nel mare italiano, confermando quindi l’importanza del Canale di Sicilia come hotspot della biodiversità in Mediterraneo.

Durante la stessa campagna, i ricercatori dell’ISPRA sono stati contattati da un pescatore che aveva catturato con una rete a strascico un giovanissimo esemplare di squalo bianco (Carcharodon carcharias). La presenza di un esemplare così giovane (età stimata di due mesi) avvalora l’ipotesi che la zona serva come nursery, cioè come area dove gli squali bianchi si riproducono, o quantomeno dove i giovani trovano un ambiente ideale per i primi mesi di vita. Inoltre il ritrovamento indica che la popolazione mediterranea di squalo bianco è ancora riproduttiva, un fatto estremamente positivo soprattutto in considerazione dell’importanza di questi predatori per la stabilità della catena trofica (come confermato da molti studi scientifici) e della scarsità di avvistamenti di questa specie negli ultimi anni.

L’importanza di queste scoperte assume un ruolo ancora più rilevante in relazione con la programmata costruzione di strutture per l’estrazione di petrolio nella zona circostante l’isola di Pantelleria, come denunciato da Canese. Alla luce dei recenti disastri causati da questo tipo di attività, i dubbi sull’opportunità di questo progetto sono giustificati, senza contare che è in programma (ormai da anni) l’istituzione in questa zona di un’ Area Marina Protetta, all’interno della quale sarebbe a dir poco fuori posto la presenza di attività estrattive.


Fonti e ulteriori informazioni:

Video dei fondali di Pantelleria realizzato dall’ISPRA:

Nota stampa dell’ISPRA:

Video della necropsia al giovane esemplare di squalo bianco:


sabato 19 febbraio 2011

La vittoria delle balene

La notizia è apparsa su giornali nazionali ed internazionali. Ed è una notizia che molti attendevano con ansia: il Giappone sta ritirando la sua flotta di baleniere dai mari Antartici.
La motivazione addotta è l’impossibilità di procedere alle catture causata dalle attività di disturbo degli ambientalisti di di Sea Shepherd.
Negli ultimi giorni la campagna degli attivisti ha dato i suoi frutti: la nave appoggio Nissin Maru, inseguita da una imbarcazione della Sea Shepherd, si è allontanata dalla zona di caccia fino a costringere, almeno in apparenza, alla rinuncia all’intera campagna di caccia, peraltro a stagione già avanzata.
La notizia è stata ufficializzata dal governo giapponese, che ha dichiarato chiusa per quest’anno la stagione di caccia . Secondo le stime di Sea Shepherd, la flotta giapponese ha catturato meno del 10% della quota prefissata. Circa 900 balene sarebbero così state salvate, sempre secondo l’organizzazione. Altre fonti dichiarano numeri differenti, come circa 500 balene catturate. In ogni caso, è sorprendente che il gruppo di attivisti sia riuscito a far valere le proprie ragioni, costringendo alla resa una flotta di navi agguerrita e ben equipaggiata.
Sea Shepherd è stato oggetto di critiche in questi anni da parte di altri gruppi ambientalisti, tra cui Greenpeace, per la “aggressività” e la strategia che prevede attacchi mirati con lo scopo di bloccare le attività delle baleniere, o altre attività definite “illegali” dal gruppo,come la pesca in acque protette o l’allevamento di tonni oltre le quote consentite (vedi l’attacco sferrato a giugno 2010 contro un allevamento di tonni in acque libiche).

Ma cos’è Sea Shepherd?
È una associazione senza fini di lucro la cui missione è quella di impedire la distruzione dell’ambiente naturale, mediante la documentazione sui reati in danno dell’ambiente marino e l’azione diretta per impedire le attività illegali in alto mare.
In un’intervista a Peace Reporter, Laurens De Groot  di Sea Shepherd Mediterraneo, definisce l’associazione come “la polizia che dà la caccia ai cattivi”, in quanto fa rispettare le leggi che pure esistono, ma in alto mare vengono spesso violate in mancanza di controlli. Le acque antartiche sono dichiarate Santuario dei Cetacei, e il Giappone non avrebbe il diritto di cacciare balene, ma lo fa. Così Sea Shepherd cerca di bloccare tali attività, usando metodi come il lancio di bombe puzzolenti (composte da burro rancido) sul ponte delle navi baleniere, col doppio scopo di contaminare la carne di balena, e rendere il lavoro difficoltoso a causa del cattivo odore. Il recente successo testimonia l’efficacia di queste azioni.
Bisogna però ricordare che non sono solo le bombe puzzolenti a rendere difficile la vita alle baleniere giapponesi: di recente l’attività sta diventando sempre meno redditizia per il Giappone, a causa delle elevatissime sovvenzioni statali e dell’ormai scarso interesse del popolo giapponese, che non pare più interessato a consumare carne di balena. La caccia alla balena infatti è promossa dall’Agenzia per la Pesca giapponese, che la motiva internazionalmente con le necessità della ricerca scientifica, e la giustifica internamente come un’ attività tradizionale e con la presunta richiesta di carne a scopo alimentare.
Ma entrambe le scuse stanno venendo meno, poiché è palese che la ricerca si può svolgere con metodi non letali per le balene, e la domanda interna è talmente bassa da lasciare migliaia di  tonnellate di carne invenduta nei magazzini frigoriferi.
Dopo alcuni scandali legati ad episodi corruzione, i contribuenti giapponesi hanno cominciato a rendersi conto che stanno pagando di tasca propria una attività ormai inutile, mantenuta solo per gli interessi economici di gruppi ristretti di potere.
Durante la  prossima riunione dell’IWC, la Commissione Internazionale per la Baleneria, in programma a Giugno, forse sapremo se gli scandali e le bombe di burro rancido saranno serviti a fermare la caccia alla balena.

Fonti e approfondimenti:

Notizia del ritiro della flotta:
http://www.repubblica.it/ambiente/2011/02/16/news/caccia_alle_balene_stop_del_giappone-12517932/
Sul sito di Sea Shepherd
http://www.seashepherd.it/news-and-media/news-110217-1.html

Intervista di Peace Reporter a Sea Sheperd:
http://it.peacereporter.net/articolo/26912/Pirati-pastori+e+baleniere+giapponesi

Notizia dell’attacco all’allevamento di tonni della scorsa estate:
http://www.repubblica.it/ambiente/2010/06/21/news/tonno_rosso-5020861/index.html?ref=search

Notizia delle difficoltà economiche dell’attività baleniera giapponese (in inglese):
http://www.guardian.co.uk/environment/blog/2011/feb/08/whaling-japan


mercoledì 16 febbraio 2011

La balenottera affondata

Alcune settimane fa, una balenottera comune (Balaenoptera physalus) si è spiaggiata  lungo la costa toscana, nei pressi di San Rossore.
Quando le guardie forestali sono giunte sul luogo, l’animale era già morto. In base alle dimensioni (17 m di lunghezza) si è potuto stabilire che si tratta di un esemplare di età giovane. La forma particolare della pinna dorsale ha permesso di identificarlo con l’esemplare che era stato avvistato nelle settimane precedenti nel golfo di Follonica e di fronte a Viareggio.
Le cause della morte sono ancora da accertare, ma si esclude che la morte della balenottera possa essere stata causata dall’ingestione di sacchetti di plastica (non se n’è trovata traccia), come suggerito invece da alcuni media. Secondo le prime analisi, invece, lo stato di debilitazione, testimoniato dal ridotto strato di grasso cutaneo e dalla presenza di numerosi parassiti, potrebbe essere attribuito ad una situazione renale compromessa.
Sono stati inoltre prelevati campioni di tessuto per le analisi tossicologiche.
Si riaccende intanto la polemica sull’opportunità del progetto di un rigassificatore offshore in quest’area, che dovrebbe essere protetta in quanto facente parte del Santuario dei Cetacei. Il progetto del rigassificatore, secondo Greenpeace, è stato approvato sulla base del dato, evidentemente non del tutto vero, che non si trovino cetacei in quest’area del Santuario.  

Rimane il problema di cosa fare della carcassa. Lo smaltimento di una balena non è né semplice né economico. A qualcuno è quindi venuta l’idea di riportare la balena in mare, affondarla in modo controllato e lasciare che gli organismi decompositori agiscano, liberando lo scheletro che verrà poi recuperato per scopi didattici. Questa operazione consentirà anche di monitorare come avviene la decomposizione del corpo della balena, un’occasione unica che permetterà di osservare, per la prima volta, la dinamica delle comunità di organismi decompositori, tra cui pesci, invertebrati e batteri poco conosciuti ma dal ruolo fondamentale per il ciclo della materia organica.

Fonti e approfondimenti:

Polemica sul rigassificatore:

Affondamento della carcassa:

Identificazione e analisi:

Tethys NEWS: Riconosciuta la balenottera spiaggiata a S.Rossore

domenica 13 febbraio 2011

Due zifii

Due zifii (Ziphius cavirostris) si sono spiaggiati alcuni giorni fa vicino a Siracusa.
Lo zifio è un cetaceo appartenente al sottordine Odontoceti, cioè balene coi denti (non c’entra quindi nulla con le balenottere, con cui viene confuso sui giornali), e fa parte della famiglia Ziphidae. I membri di questa famiglia sono cetacei di medie dimensioni (lo zifio raggiunge i 7-8 metri di lunghezza) e sono tutti estremamente schivi. A questo comportamento si deve la scarsissima conoscenza che si ha su questi animali, alcune specie dei quali sono note solo grazie al ritrovamento di pochi individui spiaggiati o addirittura di poche ossa.
Secondo un recente report di ACCOBAMS (Agreement on Conservation of Cetaceans in the Black Sea, Mediterranean Sea and Contiguous Atlantic Areas) di Notarbartolo di Sciara & Birkun (2010),  in Mediterraneo lo zifio è relativamente abbondante. La sua presenza è normalmente associata alla presenza di canyon o scarpate di notevole profondità. Si trova in mar Ligure, presso il Canyon di Genova, nello Ionio e basso Adriatico, e nel mare di Alboran, nei pressi di Gibilterra. È anche segnalato nel mar Tirreno e lungo le coste greche e turche. Lo zifio si trova generalmente isolato o in piccoli gruppi di 2-3 individui, e si nutre prevalentemente di cefalopodi che caccia durante immersioni lunghe e profonde.
Data la difficoltà di avvistamento, lo zifio è stato a lungo ritenuto una specie estranea al mediterraneo, e i saltuari spiaggiamenti, a volte anche di massa, venivano spiegati con l’impossibilità di trovare nutrimento, che avrebbe portato all’inedia. Col tempo, invece, si è capito che lo zifio c’è sempre stato, e gli spiaggiamenti sono stati associati ad alcune attività antropiche, in particolare alle esercitazioni militari con sonar attivi a bassa frequenza per l’individuazione di sommergibili “invisibili”, che vengono effettuate in varie zone del mondo da molti eserciti.
Come altri deep-divers, quei cetacei che passano gran parte della propria esistenza nuotando a grandi profondità, lo zifio si spinge al limite delle proprie possibilità sfruttando gli adattamenti fisiologici di cui l’evoluzione lo ha dotato.
In queste condizioni, un fattore di disturbo improvviso può spaventare l’animale, che risale velocemente e senza dare il tempo al corpo di abituarsi gradualmente al cambio di pressione e agli altri fisiologici durante la risalita. Questo causerebbe gravi danni al sistema di orientamento e al sistema nervoso in genere, e porterebbe gli zifii a spiaggiarsi, ed infine a morire a causa dei danni riportati. Secondo un’altra teoria, invece, sarebbero direttamente le onde dei sonar a causare il danneggiamento dei tessuti nervosi degli zifii, e a provocarne la morte.
La NATO, preoccupandosi per la sorte dei cetacei e per la propria immagine fra l’opinione pubblica, si è impegnata fortemente per ridurre gli incidenti di questo tipo, finanziando ricerche volte all’individuazione delle aree più abitate da questi animali con lo scopo di evitare esercitazioni pericolose in questi luoghi.

Detto fatto. L’uso di sonar non è certo l’unica causa di spiaggiamento di cetacei. E i due zifii di Siracusa sarebbero stati aiutati con successo a riprendere il largo, secondo quanto si legge sulla stampa, suggerendo un lieto fine per la vicenda. Ma alcuni osservatori fanno notare che, proprio nei giorni precedenti allo spiaggiamento, alcune esercitazioni militari, denominate “Proud Manta”, avrebbero avuto luogo nella zona. La connessione è tutt’altro che certa, ma il dubbio è forte.

Citazioni:
Notarbartolo di Sciara G., Birkun A. Jr., 2010. Conserving whales, dolphins and porpoises in the Mediterranean and Black Seas: an ACCOBAMS status report, 2010. ACCOBAMS, Monaco. 212 p.

Immagini e commento: